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Don Paolo torna in Kenya: «La Chiesa dovrebbe avere un polmone africano»

Gianpaolo Altamura
Gianpaolo Altamura
Don Paolo Malerba diviene parroco di Log Logo
Prima di partire per Log Logo dopo un profondo passato nella sua Terlizzi il missionario ha raccontato il suo 2018 al sito della Diocesi di Molfetta
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Don Paolo Malerba torna in Africa dopo un periodo passato nella sua Terlizzi.

Ma prima di partire il sacerdote “fidei donum” ha raccontato il suo anno pastorale 2018 al sito della Diocesi di Molfetta.

“È stato ricco di benedizioni e sorprese. Il Signore Gesù non lascia mai i suoi amici soli, sorprende sempre!”, ha esordito nella sua testimonianza sull’esperienza a Log Logo, in Kenya

“L’anno si è aperto con una massiccia partecipazione dei giovani alle catechesi; sono rimasto colpito dalla partecipazione di tanti e dalla fedeltà che ci hanno messo per conoscere Gesù. Sull’Africa ci sono degli stereotipi che desidero dipanare prima di proseguire. Innanzitutto lo stereotipo delle masse e del tutto facile e bello in Africa; il contesto in cui vivo è prettamente islamico e non ci sono solo i cattolici, ma anche altre sei chiese cristiane.
Coloro che giungono a noi vogliono davvero conoscere Gesù. In Log logo la chiesa cattolica è agli albori, mentre altre chiese protestanti e i musulmani sono già da lungo tempo realtà consolidate. La chiesa cattolica è la più povera in termine di strutture e aiuti. Le altre chiese e i musulmani fanno proselitismo finanziando, ad esempio, lo studio dei giovani alle scuole secondarie o all’università, in cambio della promessa della professione di fede islamica. La fede non può e non deve essere legata alla logica dello scambio. La fede si deve basare sulla testimonianza. Deve essere chiaro che non siamo noi, le cose, i soldi a convertire il cuore, ma è Dio solo. Per questo la testimonianza e l’annuncio del vangelo sono il centro e il fine della missione a cui sono stato mandato. Sono consapevole che l’annuncio del vangelo va coniugato con lo sviluppo umano e sociale, per questo, in modo semplice e fruttuoso stiamo rendendo il deserto un giardino”.

Don Paolo descrive anche il lato umano nel contesto kenyano: “I nostri catecumeni hanno avuto il coraggio e la forza di prendere parte alle catechesi, ogni giorno. Mi hanno sorpreso per la puntualità, la gioia e la fedeltà. I ragazzi dopo il termine delle lezioni scolastiche, alle 17.00, raggiungevano i luoghi della catechesi in quaranta, tutti trafelati per i 4 km percorsi in tutta fretta, per assistere alla catechesi che iniziava alle 17.15. Una bella testimonianza!”.

“Un’altra testimonianza bella – aggiunge il sacerdote missionario – è stata data dai ‘piccoli martiri vivi’. Coloro che si preparavano alla comunione. A loro è stato richiesto di venire a messa tutti i giorni alle 6.30 del mattino, prima della scuola. Dopo alcuni mesi, ho scoperto che alcuni ragazzi erano sottoposti a punizioni corporali, perché venendo a messa facevano ritardo di alcuni minuti a scuola. Per venire a messa e per ricevere Gesù i miei piccoli martiri vivi erano pronti a sacrificarsi pur di ricevere Gesù. Ho scoperto il tutto un giorno scherzando con alcuni di loro. Ho avvertito un senso di colpa, ma nello stesso tempo ho reagito per difendere i miei cristiani.
Non so se sono io ad evangelizzare loro o loro ad evangelizzare me.
Quest’anno 28 ragazzi hanno ricevuto la prima comunione, 67 il battesimo, 67 riceveranno la prima comunione a dicembre e 69 il battesimo a dicembre. La chiesa di pietre vive esiste!”.

Il 4 aprile prossimo intanto nella Diocesi di Marsabit sarà una giornata storica, e Don Paolo racconta perché: “Il terreno dove stiamo edificando la chiesa e trivellando il pozzo artesiano, sarà benedetto. Quante benedizioni quest’anno. Log logo è parrocchia solo da un anno e i frutti li stiamo già gustando. Non avrei mai pensato di poter assaporarli già. Questo è il segno che Lo Spirito Santo agisce e ci precede sempre.
La costruzione della chiesa va avanti e molto bene. Con certezza sarà inaugurata il 16 dicembre dal nostro vescovo Monsignor Domenico Cornacchia”.

“Il pozzo artesiano è stato un dono grande – afferma Don Paolo -. La compagnia ha iniziato la trivellazione del pozzo pur sapendo che non avevamo un soldo. Si sono fidati di me; e io di sorella Provvidenza. Ad oggi siamo riusciti a pagare soltanto la trivellazione del pozzo. Il costo del pozzo è di 35.000 euro, di cui sinora sono stati raccolti in Diocesi oltre 18.000,00 euro”.

Il parroco ha anche ricevuto visite dalla Puglia nell’ultimo periodo: “Due giovani che sono venuti a farmi visita. Non conoscevo nessuno dei due, ma sono stati un bel dono per me e per la comunità. Nella loro semplicità hanno condiviso la mia povera e semplice vita missionaria. Sono venuti nel silenzio e sono ripartiti nel silenzio, ma con un cuore cambiato. Ho apprezzato il loro mettersi in gioco e la loro umiltà nell’entrare in un altro mondo in punti di piedi. Due giovani con un vissuto diverso: Luigi Lavia, diacono della diocesi di Rossano Cariati, Angelo Tamborra giovane terlizzese in ricerca di senso. Due giovani uniti dalla voglia di mettersi in gioco. Anche a me ha fatto molto bene la loro presenza”.

Ma non tutto è stato piacevole: “Ho sperimentato l’esperienza del male fisico. Ho girovagato per quasi tutto il Kenya per capire che i dolori che avevo erano soltanto coliche renali. Dopo che mi avevano diagnosticato i calcoli renali per asportarli avrei dovuto depositare 10.000 euro, e mi sono chiesto se tutto fosse giusto. Ho pensato alle persone con cui vivo che molte volte pur avendo i miei stessi problemi non possono accedere alle cure. Viviamo in un mondo ingiusto”.

Insomma, quello di Don Paolo è stato un anno intenso e pieno di lavoro, ma ricco di soddisfazioni anche. “Ho sognato a lungo che nella nostra diocesi si possa iniziare a respirare veramente con due polmoni. Un polmone italiano ed uno africano. Sì, perché sembra che respirare con uno solo sia molto faticoso. Ho sognato che i giovani che si preparano al sacerdozio possano fare un’esperienza missionaria e sembra che questo sogno per volere del vescovo diventerà realtà.
Non voglio idealizzare l’Africa, credo fermamente che essere cattolici significhi essere universali, significhi essere del mondo, essere al servizio del mondo. Auguro a me e a voi di avere piedi piantati in terra e sguardo rivolto verso il cielo”, conclude con parole ispirate il missionario terlizzese.

domenica 21 Ottobre 2018

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