​La vertigine posizionale benigna, una labirintite benigna che può anticipare la demenza senile

Dr. Paolo Petrone
Una corretta diagnosi è fondamentale per identificare fattori di rischio cardiovascolari che possono causare patologie severe del sistema nervoso centrale
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Le vertigini rappresentano una alterazione della percezione della propria posizione nello spazio. Alla perdita di equilibrio si accompagna spesso la presenza di nausea e vomito che contribuiscono a disorientare e spaventare il soggetto.

Le vertigini si sviluppano perché all’interno dell’orecchio di ogni essere umano non c’è solo un organo che permette di ascoltare (la “coclea”), ma c’è anche il “vestibolo” o “labirinto”, l’organo principale che permette all’uomo di mantenersi in equilibrio. Non tutte le vertigini però dipendono da un malfunzionamento del labirinto, ci sono infatti anche altri tipi di vertigine, alcune determinate da un cattivo funzionamento del sistema nervoso centrale, altre ancora, invece, traggono origine da malfunzionamenti di molteplici altri organi.

La forma più diffusa di vertigine è la “vertigine posizionale parossistica benigna“, una forma di vertigine determinata dallo spostamento di piccoli cristalli di calcio (otoliti) contenuti all’interno del labirinto e scatenata da cambiamenti di posizione della testa. Alzandosi, sdraiandosi o girandosi nel letto, così come guardando in alto o spostando la testa all’indietro, si può provocare lo spostamento erroneo di questi cristalli nel labirinto e determinare l’attivazione erronea delle cellule nervose dell’organo dell’equilibrio. Queste cellule registrano uno spostamento di tutto il corpo nello spazio che in realtà non si sta verificando. Il cervello riscontra l’incongruenza e avvia così un messaggio di errore agli altri organi, provocando nausea, vomito, sensazione di instabilità e paura.

Si tratta di una patologia benigna, che spesso inizia con episodi acuti che possono diminuire con il trascorrere dei giorni, ma che possono anche ripetersi in più occasioni durante l’intero arco della vita e rendere la vita invalidante, se non trattati dallo specialista otorino con delle manovre di riposizionamento degli otoliti.

Diverse sono le teorie secondo cui questa malattia si sviluppa. Secondo alcuni autori sembra essere determinata da microtraumi della testa, così come alcuni autori sostengono invece una causa di origine vascolare, dal momento che sono più comuni nei pazienti anziani. Un recente studio condotto dall’Università di Taipei a Taiwan su ben 7.818 pazienti, analizzati per 10 anni e confrontati con un gruppo di controllo di 31.272 persone, ha evidenziato che questa malattia potrebbe essere correlata con un aumentato rischio di sviluppare demenza senile dopo i 65 anni di età. Secondo l’autore del lavoro scientifico, i disturbi cardiovascolari, l’ipertensione, l’iperlipidemia e l’aterosclerosi potrebbero spiegare l’origine comune delle due malattie. “In molti studi presenti in letteratura la vertigine posizionale parossistica benigna è anche associata alla comparsa di ictus, il che evidenzia che esiste un potenziale meccanismo di origine su base vascolare che associa questo tipo di vertigine al rischio di sviluppare una demenza senile“, dice il Prof. Lo dell’Università di Taipei.

Anche questo studio, così come emerge dalle più recenti ricerche scientifiche in materia di vertigini, sottolinea la necessità che i pazienti, dopo la visita otorinolaringoiatrica e le manovre di riposizionamento degli otoliti, eseguano dei controlli cardiovascolari e trattino eventuali fattori di rischio (ipertensione, iperlipidemia, ipercolesterolemia, etc.), anche se hanno raggiunto una perfetta condizione di benessere. La corretta diagnosi di una vertigine posizionale parossistica benigna può rappresentare il primo campanello d’allarme in grado di aiutare ad identificare l’avanzamento di una patologia cardiovascolare e a prevenire gravi conseguenza a livello encefalico.

Fonte: Lo MH, Lin CL, Chuang E, Chuang TY, Kao CH. Association of dementia in patients with benign paroxysmal positional vertigo. Acta Neurol Scand. 2017 Feb;135(2):197-203. doi: 10.1111/ane.12581

venerdì 16 Novembre 2018

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