Intervista su Carlo Falcoli e il suo unico libro

Luana Lamparelli
Carlo Falcoli ha scritto il testo quando aveva diciotto anni, per poi vederlo pubblicato due anni fa
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“Era come se un giorno tutte le cose del mondo si fossero ammutinate.”

 

Se fosse una canzone: un’aria, L’Italiana in Algeri, di Rossini

Se fosse un colore: rosso

 

Esterno settembre – Atto primo

– Dov’è che dobbiamo andare?

– Prova di là.

– Ma la barca dov’è?

– Dobbiamo arenarci su una banchina.

– Speriamo ci diano anche una panchina, allora; coi tacchi, in piedi non voglio starci.

Dovevamo parlare di un libro strano, di un autore introvabile, invece siamo finiti alla presentazione di un altro titolo e di un altro nome. Il mare sullo sfondo, negli occhi.

 

Interno dicembre – atto secondo

– Perché non in auto, sotto gli occhi di tutti? Abbiamo pure le mascherine.

– Guarda lì, accosta, e fregatene se suonano il clacson. È Bari. Andiamo nel mio ufficio.

Sportelli che sbattono, freddo di colpo addosso, passi: di lui più lunghi, di lei più frequenti; entrambi, gambe lunghe e penne abili.

Ironia e poesia, cose scordate e cose riconosciute in guizzi di sguardi.

La soglia di un palazzo antico e importante varcata. Gli sguardi si allungano come fossero d’Acqua. Mi metto in posa per la misurazione della temperatura (a debita distanza persino dal macchinario, ndr) e poi su: gradini di marmo e rampe a far girare la testa per la bellezza tutt’intorno, prendi questo corridoio, supera quell’angolo, svolta a destra, imbocca la porta a sinistra, seguimi, non ti perdere.

– Poggio la mia roba qui, sullo sgabello del Papa.

– Hai già avviato la registrazione?

– Certo. Quando ho detto che saremmo durati dieci minuti, io e te.

La verità, però, è che se si parla di un libro e di uno scrittore in particolare, “dieci minuti” è un luogo immaginario non fedele alla dimensione temporale.

 

Racconto di sassi e di altre pietre preziose

C’è un libro come un’opera teatrale. Overture, Atto I, Intervallo, Atto II – le sue stanze.

Porta, rivela e daccapo cela un mistero.

Ho cercato lo scrittore, Carlo Falcoli: nome semplice ma introvabile persino su Internet, persino per me. Alla fine è venuto fuori un suo amico di liceo, disposto a parlarmi di lui e di questa strana opera, edita da Adda. Ho avuto risposte come capriole e altre riflessive, un gioco di specchi, non solo di rimandi; ho cercato di far evitare voli pindarici (perché sappiamo bene quale fine abbia fatto Pindaro); sinfonia, fantasie di pioggia e arcobaleni.

Davanti a una vetrata, luci di Natale e tramonto a stingere sul mare, con la distanza di sicurezza imposta dall’emergenza pandemica, ci siamo ritrovati io e questo uomo, ironia intellettuale e intelligenza vivace, più grande di me di quanti anni non so indovinare – la montatura degli occhiali da vista mi distrae.

A impormi di parlare del libro, la mia amica Eva.

– Benvenuta nel mio studio.

– Non diciamo chi tu sia, tanto chiunque potrebbe parlare di Carlo Falcoli.

– Nemmeno io lo conosco bene. Andavo al liceo e l’ho trovato lì. È sfuggente, come le palle di Natale che cambiano colore proprio mentre ti avvicini per vederle meglio.

– Quindi Carlo Falcoli è camaleontico o istrionico?

– È umano, con tutte le imperfezioni, con le venature di vecchio e consumato, però è anche fresco. Se lo odori, sa di nuovo, come le sedute delle auto nuove. Quando è stato scritto questo libro, aveva 18 anni, quindi tra le pagine puoi sentire ancora l’odore giovane.

– Perché ha scritto questo libro proprio a diciotto anni?

– A diciotto anni non fai le cose per un “perché”, le fai molto d’istinto, in modo animalesco. A diciotto anni ci si azzuffa, a cinquant’anni si è saggi. Credo che Carlo abbia agito di istinto, di pancia (e qui vi rimando alla registrazione audio, operando censura nella versione scritta. Indicazioni a seguire).

– Eva, che avrebbe tanto voluto conoscere Carlo, mi ha fatto notare che in questo libro c’è molta poesia.

– Eva?

– Eva. Nessuno la conosce, nemmeno tu puoi conoscerla. Così come io non posso conoscere Carlo.

– (Ride incuriosito, ndr) Se ha letto il libro, Eva è sicuramente una donna molto coraggiosa.

– Lo è. Ed è anche sfuggente come Carlo.

– È un libro di poesia. L’ho letto per la prima volta un paio d’anni fa. È un libro che parla di cosa sia la poesia. Non è un libro poetico. È un saggio forse, su come l’uomo si rapporti alla parola poetica. (…) Ti dirò: ho scoperto che è un genere letterario a sé stante: ergotico si chiama. Nella pagina le parole non hanno la posizione solita, ma sono distribuite in maniera eccentrica. Carlo, quando ha scritto questo libro, penso che abbia inventato un genere e non lo sa, e credo che non lo saprà mai.

– Questo libro ha l’impianto di un’opera teatrale: Carlo Falcoli, Lo scrittore, La donna, Il maestro. Ed Eva mi ha detto: ma sai, c’è un altro libro, in cui ci sono le stesse voci ma con altri nomi, quindi Eva Zelda Ayroldi, La scrittrice, L’uomo, Il mistero. Molto spesso il mistero è maestro.

– Nel mistero c’è la verità del mondo. Che un maestro possa essere avvicinato al concetto di mistero, di quello che è più vero al mondo, è quasi lapalissiano. È un accostamento bizzarro ma molto interessante. Non so se Carlo, ascoltando questa intervista o leggendola, possa trovare anche giovamento, perché … Penso che ne sarebbe contento. Questo libro è anche, a un’altra chiave di lettura, sull’incapacità dell’uomo di trovare un approdo sicuro. È un libro anche disperato, ma non tragico.

– Eva, indispettita quasi, afferma rispetto al libro di Carlo: “Io che dedico la mia vita a imparare a pensare, ragionare, e quindi comportarmi come un uomo, e Carlo che scrive come fosse una donna; ma la cosa più ironica è che poi trovo uomini che mi regalano storie intrise di poesia e pioggia e tutta quella femminilità che cerco di scacciare da me; e mi riconducono: alla pioggia, a me, a essere donna”. A chi ti porta la pioggia?

– A me o a Carlo?

– E lo chiederei a Carlo, se ci fosse, ma non c’è e lo chiedo a te.

– La pioggia è come le vertigini: ne siamo attratti ma allo stesso tempo tendiamo a proteggerci. Come per le vertigini, che poi sono la paura di volare, anche la pioggia è la paura di lasciarsi andare veramente. L’idea di essere sopraffatti dalla pioggia, di vincere la pioggia, è un po’ il limite di Carlo (e mi parla di arcobaleni, stati d’animo, autostrade).

– Questo libro parla di carne, come dicevi prima. (Mi interrompe incredulo, gli ricordo che sto registrando e potrò dimostrare). Ti domando, anche se non potrai darmi la risposta di Carlo: secondo te, nella carnalità del vivere un’emozione, a prescindere da quale emozione sia, può esserci poesia, a prescindere dall’emozione?

– Secondo me, non può esserci poesia senza carne. La poesia è ciò che vivi, è il succo, il concentrato della vita della carne. Quando, nella poesia, pensi di immaginare una cosa, in verità stai rielaborando solo qualcosa che la tua carne ha vissuto. Che può essere sia in forma di privazione sia in forma di presenza. Secondo me, la carne e la poesia … ci stanno benissimissimo. Come il formaggio con le pere.

– Condivido. Sicuramente condividerebbero il discorso anche Eva e Carlo, se lo stessero facendo qui per noi. Secondo te, Carlo ha superato l’ammutinamento a cui si riferisce la citazione con cui apro questo articolo-intervista?

– Sai che poi non mi sono soffermato a riflettere su cosa sia successo a Carlo negli ultimi trent’anni? Io non ho il tempo per fermarmi a ragionare, sono in mezzo alla corrente, faccio già fatica a stare a galla. La corrente delle parole ti porta via.

– Sai che i diamanti si presentano come pietre insignificanti? Devi metterli nell’acqua, perché rivelino la loro vera natura. Il potere dell’acqua. A proposito, so che hai scritto anche tu libri, tutti sull’acqua. Presto ne presenterai un altro. Prometto che dedicherò tanta attenzione così come ha fatto Eva per il libro di Carlo. In quella circostanza, ti proporrò un’altra acrobazia da Circo Lamparelli, un gioco di prestigio: scriverò e si saprà il tuo nome, sarà ben leggibile, ma non si saprà che sarà stato scritto da me. Sarò un fantasma per te, spero l’opera riesca.

– Ehi, facciamo un gioco? – mi propone a un tratto, sgranando gli occhi bambini.

– Facciamo teatro – gli rispondo io.

 

Scrivere è sempre riscrivere, così come vivere il ricordo è vivere daccapo.

Scrivere è creare e rivelare in un modo diverso.

Chi ho intervistato davvero? Da quali dialoghi parte questo testo scritto?

Come nascono le illustrazioni che impreziosiscono il libro, realizzate da Antonella Linsalata?

Al seguente link, l’intervista completa: https://www.spreaker.com/episode/43005514

 

 

“Racconto di sassi e di altre pietre preziose”, Adda Editore.

Carlo Falcoli ha scritto il testo quando aveva diciotto anni, per poi vederlo pubblicato due anni fa.

Oggi è un uomo sfuggente. Oppure no.

mercoledì 20 Gennaio 2021

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