Se con settembre iniziano le attività sociali e le attività scolastiche per tutte le scuole di ogni ordine e grado, questi ultimi anni ci sono state diverse novità. Nonostante la pandemia c’è la speranza di una società più equa e solidale, grazie a un’economia ecologica e a un mondo di pace che sia coniugata alla giustizia. Una “società verde”, dunque, con nuovi modelli di produzione e consumo, con nuovi valori e con più partecipazione e democrazia partendo dal basso. I segnali ci sono, in tutto il mondo, con una vivace società civile che fa emergere esperienze e soluzioni innovative e perfino una parte degli ambienti imprenditoriali che sottoscrive l’idea della sostenibilità e la stessa grande distribuzione che si adegua un po' alla domanda di consumatori più attenti e responsabili, e un po' strizzando l’occhio per avere più visibilità sociale e commerciale che non guasta per la promozione del proprio brand.
Il contributo imprescindibile dell’educazione formale, non formale e informale alla costruzione di società più verdi e di un futuro sostenibile deve, insomma, essere reclamato e sostenuto per fare dell’educazione ambientale un volano di sviluppo. Da un lato, infatti, vediamo grandi progressi: governi che lanciano programmi per una transizione ecologica, nuove imprese verdi che nascono, nuove politiche agricole che emergono, grandi imprese che compiono sforzi importanti, cittadini che si organizzano. Il mondo è in movimento. Grandi progressi di cui l’educazione ambientale, con la sua azione di sensibilizzazione e di costruzione di competenze per l’azione e per il cambiamento, può vantare il merito. Ecco dunque che “educazione” nelle sue varie forme e declinazioni: di istruzione formale, di acculturamento attraverso istituzioni e strutture dove l’educazione si sviluppa in modo non formale, di materiali audio-video e programmi educativi del vasto mondo dell’educazione informale, è qualcosa invece di molto importante.
Non c’è futuro in una società senza il ruolo fondamentale dell’educazione, senza la ricerca, senza la formazione, senza la spinta e l’accompagnamento a nuovi stili di vita, senza l’incremento di capacità e abilità sociali, senza l’adeguamento delle conoscenze e delle competenze di tutti al mondo che cambia velocemente, senza dare basi solide di consapevolezza e strumenti critici alla possibilità dei cittadini di partecipare attivamente e responsabilmente ai processi decisionali. Sicuramente gli Stati che hanno fatto storicamente da fucina sono stati quelli del Nord Europa e la Francia. Quest’ultima è popolare e s’innesta sulla scia delle rivoluzioni 1830, 1848, 1871… che è ancorata alla storia dell'educazione ambientale. È radicato in vecchi movimenti come la nuova educazione, l'ecologia umana, l'educazione popolare o la "Società degli amici della natura" di Pierre Bovet e che mira a cambiare le pratiche dell'umanità in materia di uso e gestione delle risorse della Terra.
La pratica dell'educazione ambientale, per le sue origini nell'educazione popolare e nuova, si traduce poi negli anni Sessanta in attività nella natura, guidate da volontari entusiasmati e da insegnanti appassionati. I primi professionisti compaiono negli anni '70/'80. L'educazione per l'ambiente si unirà: le attività e i mezzi educativi si stanno diversificando. Siamo partiti un po’ da lontano per dire che parlare di educazione è possibile, anzi fondamentale, anzi obbligatorio in questa era di crisi. Per dire che parlare di educazione in questo secolo di emergenze sociali e ambientali vuol dire parlare di come l’educazione, nelle varie accezioni di significato, sia fondamentale per sostenere una “riconversione ecologica”, ovvero di modelli di produzione e consumo e relazioni sociali più equi ed ecosostenibili.